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In morte di John il Sordo.

  • Immagine del redattore: G F
    G F
  • 4 apr
  • Tempo di lettura: 4 min

È difficile, da qualche mese, che il mio amico Jim prenda l’iniziativa di scrivermi, ma quando lo fa, in genere è per mandarmi gli highlights di qualche partita dell’Orient, in genere quando la squadra segna 4 o più goal o, più raramente, quando viene a mancare qualcuno che conoscevo. Non essere su Facebook nel 2025 è un po’ come essere fuori dal mondo: le notizie, i fatti del giorno, non ti arrivano più, nemmeno passivamente. L’ho detto anche a Jim, stamattina, quando mi ha contattato per comunicarmi che John era passato a migliori vita; John Tarrant, da me ribattezzato John il Sordo, per motivi ovvi e in onore all’omonimo, anche se particolarmente infame, personaggio dell’universo di Irvine Welsh.

“Oh, anche io non sono più su Facebook. Mi hanno bannato a vita” - questa la risposta di Jim; basti questo come introduzione alla popolazione varia ed eterogenea di disadattati, alcolisti ed amabili conversatori che affollava il Leyton Orient Supporters Club circa una decina di anni fa e che, in forme non dissimili, ancora lo abita felicemente.

John era uno di loro ed era mio amico, nonostante, o forse dovrei dire grazie a, una differenza di età di quasi 50 anni. In epoche diverse da quella attuale, abitavo a Londra, nei Docklands. Era una zona che per vari motivi e vicissitudini, già conoscevo da tempo, prima ancora di trasferirmici e nella quale mi sono sempre sentito a casa. Un po’ l’inizio dell’East End, ma ancora più tollerabile. Leyton era a 5 fermate di Tube da casa mia ed era più che logico, per un essere che nel weekend si ritrovava solo fra milioni, cercare la socialità in quei riti collettivi che nel Regno Unito ancora aggregano migliaia di persone: fu così che mi ritrovai a seguire il Leyton Orient e la sua gente. Ma questa storia in particolare la raccontiamo magari un’altra volta. Sta di fatto che mi ritrovai a seguire in giro per il paese ed in casa, a Brisbane road, delle partite di calcio di livello infimo, inizialmente per partecipare al rito collettivo, fondersi nell’estasi orgiastica della massa ubriaca, dall’umore sbattuto su una fottutissima montagna russa e poi - come sempre - per vedersi con gli amici, per condividere opinioni o anche semplicemente un bicchiere ed il respiro con gente che pian piano è diventata famiglia.

Nonostante un’età già galoppante, una salute mai al top, un udito scarso e una notevolissima panza alcolica tenuta in allenamento costante, John il Sordo era sempre fra i primi a salire sui pullman del Supporters Club diretti in ogni dove. A John nella vita era rimasto un fratello, che abitava in Scozia e che negli ultimi tempi si era trasferito a Londra per badare a lui, qualche nipote e l’Orient. Orient sempre e comunque, nella vittoria e, soprattutto, nella sconfitta. Sempre ottimista, sempre pacato, un uomo che nel bicchiere mezzo vuoto vedeva l’opportunità di riempirlo con nuova birra, un altro giro, altro tiro. I suoi occhi azzurro cielo si annebbiavano ben presto nel corso della giornata, sia per la quantità abnorme di alcol assunta, sia per dei pensieri che ovviamente lo tormentavano e dei quali mai faceva menzione, per un sacro pudore comune agli inglesi e che per certi versi apprezzo tanto. Ho sempre ammirato il suo contegno, mai una parola fuori posto, un signore anche in momenti di severa tossicità etilica. Lo ascoltavo sempre con molta attenzione: era palese che cercasse qualcuno a cui passare le sue storie, la sua voce, il suo viso. L’ultima volta che ho visto John è stata 9 anni fa. Sono tornato tante volte all’Orient da quando sono ritornato in Italia, ma non ho più avuto modo di incontrare John. Che la sua salute non fosse il top lo sapevo. Le sue analisi le avevo avute sotto mano qualche volta e potevo immaginare dove si andasse a parare, prima o poi. Ogni volta che sono ritornato però, anche a distanza, ho sempre chiesto di John. Rimasi stupito quando, nel novembre del 2023, incontrai i nipoti di John al Club dopo una sconfitta in casa con l’Oxford United: John, in qualche modo, nel pieno della demenza più completa, chiedeva di me, chiedeva del ragazzo italiano che vedeva le partite con lui, che viaggiava con lui in treno, che lo riportava a casa a East Ham. Non ricordava il nome, ma ricordava l’essenza. E questo per me è già tanto. Abbiamo lasciato un ricordo l’uno all’altro, con una conoscenza avvenuta in un periodo brevissimo, se paragonato alla lunghezza della sua vita. L’ultimo ricordo bello che ho di lui è sul ponte della stazione di Waterloo, al ritorno da una sconfitta fuori casa con il Crawley Town. John abbracciava la tecnologia a patto che fosse altrui e non la sua: non aveva un cellulare, ma adorava i selfie e il suo volto da attore inglese anni ‘70 era perfetto per interpretare qualsiasi tipo di personaggio, nei selfie che ci sparavamo senza pietà anche quando eravamo veramente conciati di merda. Su quel ponte, io tristissimo all’ultima trasferta, perché il giorno dopo sarei tornato a casa, dopo aver perso, preso pioggia, una mezza febbre addosso, John placido come sempre, come una vacca indù, ben idratato. Corremmo sulle scale mobili al contrario: era ancora agile, alla sua età e pronto alle occasionali innocue mascalzonate. Mi colse a guardare il cielo grigio, pensieroso e mi disse: “Domani ritornerai nel tuo sole, dai”. Mi strappò un sorriso. Lo spirito di John scorrerà oramai soltanto nei fiumi di birra spillata, settimana si, settimana no, nel Club dei tifosi dell’Orient e nel ricordo di quei racconti che mi intrattenevano dopo le partite, io piegato con l’orecchio vicino alla sua bocca, un po’ perchè era difficile fare l’opposto, avendo orecchie dure, ad ascoltare canti orfici il cui contenuto terrò gelosamente per me.


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