top of page

...la strada verso il Mirazur.

  • Immagine del redattore: G F
    G F
  • 3 mar
  • Tempo di lettura: 6 min

A volte sono considerazioni casuali, in questo caso davanti ad un programma televisivo, a far partire pensieri più profondi e considerazioni che meritano di essere messe per iscritto. Davanti ad un programma di cucina, dove giovani volenterosi vengono bacchettati da un Antonino Cannavacciuolo nettamente, forse giustamente, più cattivo rispetto alla versione più edulcorata vista in Masterchef, la mia fidanzata mi chiede: "Ma se un nostro figlio un giorno ti dicesse di voler intraprendere questo tipo di carriera, come la prenderesti?".

La prima risposta - ça va sans dire - è stata un rigetto cieco, da medico che tollera solo l'idea di figli medici; poi, la discussione è subito virata su altro, il pensiero è rimasto lì a ballare nella mia mente. Qual è la vera risposta a quella domanda? Non saprei, però qualche riflessione in merito posso farla, per chiarire a me stesso le idee.

In primis: ricordo di una cena dello scorso anno, a casa di amici. Parte una discussione che verte appunto sul mondo della cucina, soprattutto quello patinato, un po' social, un po' televisivo - un po' falso, forse. Uno dei presenti, complici probabilmente un paio di buone bottiglie di vino a tavola, si lancia in un sermone di critica inizialmente molto condivisibile, poi un po' meno, dove non meglio precisati 'giovani' vengono criticati perchè, complici appunto social e tv, immaginano per se stessi una carriera da chef, invece che una remunerativa ma più 'normale', da ingegnere, medico o avvocato. Ricordo chiaramente che non ritenni opportuno ingaggiare discussioni - ritengo opportuno sedermi a tavola lasciando argomenti spinosi fuori, prima di entrare. Però ricordo altrettanto chiaramente il mio disaccordo in merito: cosa c'è di male non voler cercare una carriera nel mondo della cucina e puntare in alto? E a questo punto: cosa c'è di male se a volerlo è tuo figlio?

Ma le riflessioni continuano: se tutti la pensassero in questo modo, avremmo ristoranti aperti nel mondo?

Sovviene dunque il ricordo della nostra cena di fidanzamento, oltre che del mio ultimo compleanno, allo Yamt'cha, ristorante della cheffe Adéline Grattard, a due passi dal Louvre, a Parigi.

Uno staff giovane e sorridente, motivato e guidato dalla presenza della cheffe in persona - tutto chiaramente visibile grazie alla cucina a vista - un autentico vulcano, una vera lavoratrice; ma soprattutto, una madre: in cucina con lei - e non partano a nessuno considerazioni di alcun tipo in merito - il figlio quasi adolescente. Perchè non è mai troppo presto per passare l'arte alla progenie, di tempo ne abbiamo davvero poco e se penso al tempo sprecato da mio padre con il sottoscritto, le occasioni mancate per comunicare in modo diretto ed efficace...c'è da distruggersi stomaco e fegato. Dunque: se la Grattard può voler passare l'arte a suo figlio, perchè non dovrei un giorno farlo io con il mio mestiere di radiologo? La risposta, credo, sta nella volontà e nel sorriso dell'interessato: il ragazzino voleva stare lì, sorrideva nel fare quello che faceva. Nessuna forzatura. E da qui, magari, possiamo ricavare tutti i corollari del caso.

Uno dei quali, tuttavia, oltre a quello prevedibile sull'autodeterminazione del futuro dei figli è: la Grattard è una cheffe stellata, imprenditrice con tre attività di alto livello nel centro di Parigi - quasi logico che si cerchi un erede in famiglia - forse non l'esempio migliore da questo punto di vista? Se avesse gestito un onesto, ma più terreno ristorante di provincia, il ragionamento filerebbe lo stesso? Non verrebbe un figlio limitato, in questo modo, nelle sue scelte? Cito a tal proposito un episodio su Netflix di Chef's Table Francia, che più che parlare della Maison Troisgros, ristorante stellato e non solo (il più antico *** Michelin al mondo), nei pressi di Roanne, nella Loira, parla dell'ingombrante presenza dello chef Pierre Troisgros, l'originale fondatore e dei suoi contrasti con il figlio Michel, attuale proprietario, che dopo mille periperizie in giro nel mondo e dopo aver fatto una importante gavetta al cospetto di cotanto padre, celebrato tra i fondatori della nouvelle cuisine, primo introduttore del menu degustazione nell'alta cucina, aveva prima deciso di rompere con la tradizione familiare per impostare la sua 'idea' per poi, dopo la perdita della clientela fedele del padre, ritornare in buon ordine ai piatti forti ed al modus operandi paterno (compreso il famoso salmone all'acetosella, prima clamorosamente cancellato dal menù e che aveva probabilmente da solo pagato il mantenimento della famiglia Troisgros fino alla settima generazione). La questione è molto più complessa di quanto immaginassi all'inizio perchè, sembra, che l'argomento denaro abbia parecchio influsso nelle decisioni della progenie, se si nasce all'interno di una determinata condizione. Tuttavia, senza voler nulla togliere al lavoro quotidiano ed alla fatica del raggiungere un posizione come quella di un medico, al giorno d'oggi, una carriera nel mondo della cucina, ad altissimo livello, ha una percentuale di successo 10, 15, 20 volte più bassa - e sono generoso - rispetto ad una carriera convenzionalmente desiderabile, mettendosi nei panni di un genitore medio. E questo può essere sconfortante per chi decide di mettere al mondo un figlio, una lecita paura che tutti gli sforzi siano vani.

Mia madre ha vissuto gran parte della sua carriera di professoressa d'inglese in quella che un tempo era definita - quasi con spregio - 'Scuola Alberghiera', che poi divenne Istituto, che poi divenne tutta una serie di sigle strane delle quali ho perso conto, man mano che dilagava il virus della inclusività a parole. Lei ha visto nascere generazioni di uomini e donne che, di fatto, reggono l'industria ristorativa e turistica sicuramente a livello provinciale, ma anche ben oltre, perchè talvolta il momento della qualifica o del diploma in quella scuola, è il momento della diaspora professionale. Che spesso è arricchimento, talvolta è autentico successo. Ritornando a Masterchef, appunto - ognuno ha i suoi propri feticci e piaceri inconfessabili - durante l'ultima puntata, ospite d'onore era lo chef Mauro Colagreco, argentino, origini italiane, scuola francese, gestore da anni del Mirazur di Mentone, a 20 metri (letteralmente) dal confine italiano. Il Mirazur, un po' come l'Osteria Francescana di Massimo Bottura, è uno di quei templi della gastronomia che anche persone non specializzate, come il sottoscritto, conoscono ed apprezzano. Ma soprattutto la storia personale di Colagreco è parecchio simile a quella di Bottura: una storia di successo nato dal nulla, dall'emigrazione, dalla solitudine, dalla gavetta e dall'impegno. Dalla volontà nel credere in qualcosa senza garanzia alcuna che questo qualcosa effettivamente poi accada. Mentre scrivo queste poche parole, mi rendo conto - rispondendo indirettamente al quesito originale della mia fidanzata - che la mia mente evidenemente ristretta, lavora su un sistema operativo piuttosto provinciale e desidera per un eventuale figlio un posto fisso, un lavoro normale. Allo stesso tempo, per smorzare un po' questa autocritica, ho anche raggiunto la consapevolezza che la domanda iniziale ha essa stessa un senso molto relativo: un eventuale figlio farà comunque di testa propria e il genitore ha un peso quasi nullo nelle decisioni sul suo futuro, con la consapevolezza che l'ambiente di nascita e crescita ha forte influenza, diretta o indiretta, sulle future decisioni della progenie.

Tornando, infine, al Mirazur, per molti anni uno degli elementi di spicco dello staff di chef Colagreco è stato un ex alunno dell'Istituto Alberghiero di Avellino, Donato Russo - chissà, forse è passato anche davanti a mia madre. E come ci sarà finito lì? La qualità di base, il quid, deve essere intrinseco, poi ci deve essere la propensione al sacrificio e alla passione, oltre a una generosa dose di fortuna: lo staff del Mirazur è tutto giovane, lo chef quasi cinquantenne ancora oggi con l'esempio dimostra che si può imparare, e si deve, da chi è più giovane e ha meno esperienza, senza eccedere nel verso opposto. Lì si propone una cucina che varia con il calendario lunare e gioca su radici, fiori, frutti, foglie, usando orti di proprietà, ma senza cadere in fanatismi di sorta, usando ciò che la natura intorno offre, dal mare alla montagna. Ed è chiaro che forse, se la qualità di base c'è, un po' di fortuna pure, la differenza in questo caso la fanno i 20 metri da percorrere al di là della frontiera, a Ventimiglia. E forse vale la pena percorrere questa strada verso il Mirazur, al biglietto di ritorno ci pensiamo poi.


Mirazur, Mentone - Côte-d'Azur
Mirazur, Mentone - Côte-d'Azur

Commenti


bottom of page