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Châteauneuf-du-Pape Blanc 'Clos de Oratoire des Papes' 2020

  • Immagine del redattore: G F
    G F
  • 16 feb
  • Tempo di lettura: 4 min

Aggiornamento: 17 feb

Châteauneuf-du-Pape, minuscolo paese alle porte di Avignone, in un angolo di Provenza ai confini con l'Occitania, è in realtà, a dispetto delle sue contenute dimensioni, un vero e proprio gigante sulla scena enologica francese e mondiale. E' il luogo dove, circa cento anni fa, nacque il concetto di AOC (Appellation d'Origine Contrôlée, l'equivalente di quella che da noi diventeranno le DOC, anni dopo), grazie al barone Pierre Le Roy de Boiseaumarié e al suo potere politico. Un piccolo paese dove la stragrande maggioranza degli abitanti lavora nel settore vitivinicolo; molti di loro, in effetti, sono proprietari dell'azienda nella quale lavorano, per un totale di 320 aziende e circa 2000 abitanti. La cosa che più stupisce, in questo angolo di Francia baciato da Dio, è la qualità suprema del vino che viene prodotto nei circa 2200 ettari di pertinenza e rendono lo châteauneuf-du-pape, la seconda AOC di Francia (la prima, saint-emilion, si attesta su dimensioni nettamente superiori, a circa 5400 ha). Ciò che è ancor più stupefacente, è che l'AOC è conosciuta perlopiù per i suoi rossi, che rappresentano il 94% della produzione, a fronte di un mero 6% di bianchi. Tuttavia, il disciplinare fondativo dell'AOC stabilisce, già dal 1936, la possibilità di utilizzare combinazioni diverse e totalmente personalizzabili di 13 vitigni locali, fra bianchi e rossi, talvolta anche usati insieme (grenache, clairette, syrah, mourvèdre, cinsault, piquepoul noir, terret noir, muscardin, counoise, roussanne, picardan, vaccarèse, bourboulenc), dando origine ad un panorama quantomeno variegato ed unico al mondo, con rare bottiglie monovitigno (che tuttavia raggiungono vette di finezza e qualità inarrivabili, come nel caso dei grenache in purezza di Chateau Rayas) e una netta prevalenza di blend. Per quanto riguarda i bianchi, per quanto sempre non standardizzabili ed estremamente variegati, gli châteauneuf-du-pape tendono ad essere dei vini dal sorso che colpisce, non banale, probabilmente rotondo e poco verticale, che definirei non propriamente adeguati ad accompagnare secondi di pesce dal gusto mediterraneo, ma da associare in maniera più convicente a pesce grasso, salmone ad esempio, pollame e carni bianche. Un'eccellenza di non facile reperibilità e non facile piazzamento a tavola. Inoltre, un enorme bonus per questa categoria di vini, la fa il (non obbligatorio) passaggio in botte, più o meno prolungato, che aggiunge ancora più struttura e complessità ad un prodotto di per se già profondamente cesellato. La bottiglia aperta lo scorso fine settimana proviene da una delle più note case vinicole dell'areale châteauneuf-du-pape, L'Oratoire des Papes, nota dal 1926 fino a circa un anno e mezzo fa come Clos de l'Oratoire des Papes. Nonostante il recente rebranding che ha semplificato il nome dell'azienza, eliminando una sconveniente omonimia con la bordolese Clos de l'Oratoire, le bottiglie che escono fuori da questa azienda e che magari approfondiremo con una trattazione a parte, sono dall'etichetta classica art-déco, immodificata in un secolo in più ed aggiungono un tocco di fascino e gradevolezza che attira, anche prima del sorso. Sarà un concetto piuttosto infantile, ma ci approcciamo sempre più volentieri a bottiglie dall'etichetta classica, bella, che trasuda storia. Anche il contenuto, ovviamente, non delude; siamo nella parte alta della classifica degli châteauneuf-de-pape sia chiaramente con i rossi che, sorprendentemente, con i bianchi.

L'etichetta 2018, con la precedente denominazione dell'azienda.
L'etichetta 2018, con la precedente denominazione dell'azienda.

La bottiglia - Clos de l'Oratoire des Papes Blanc 2020


Il bianco de l'Oratoire des Papes, annata 2020, bottiglia dal costo variabile fra i 45 e i 65€, è un blend dei vitigni Grenache Blanc, Bourboulenc, Clairette e Roussanne, allevati su suoli calcarei e sabbiosi, che conferiscono al sorso sia struttura che eleganza.

La vendemmia è manuale e anticipata per rafforzare l'espressione del terroir. La pressatura viene effettuata direttamente dal raccolto intero in una pressa pneumatica da 30 hl e la decantazione moderata dura dalle 12 alle 36 ore a 6°C. Il mosto viene vinificato in tini di cemento a tulipano, creando un “fenomeno vortice” che permette alle fecce fini di rimanere in sospensione per beneficiare del rimescolamento naturale.

L'80% del blend viene fermentato in tini tra i 15°C e i 18°C ​​poi affinato su fecce totali senza fermentazione malolattica. Il 20% della miscela viene fermentata in botti da 300 litri poi agitata moderatamente fino alla fine di dicembre.

Per circa 6 mesi, fino alla primavera, l'affinamento sulle fecce avviene in tulipani di cemento (80%) e botti di rovere francese da 300 litri (20%), a conferma della tendenza in voga a Châteauneuf-du-Pape negli ultimi tempi, tesa ad esaltare il frutto e limitare al minimo, al giusto, il tempo trascorso dal vino in botte.

Il colore è una bella tonalità di paglierino, con riflessi verde chiaro.

Il naso è diretto e oscilla tra piccoli frutti esotici, note floreali e frutti bianchi

Al palato ha la generosità delle annate soleggiate, si esprime con una soavità gentile, a tratti burrosa, ma in gran parte temperata dai terreni calcarei che apportano una netta tensione salina e una delicata amarezza sul finale.

Davvero, davvero un'ottima bottiglia. Inoltre, una bottiglia provata anche relativamente giovane: l'azienda consiglia sia la degustazione 'giovane', sia l'attesa e la valutazione dell'evoluzione nel tempo, garantendo da un minimo di 10-15 anni ad un massimo di 20-25 anni di finestra di bevibilità, a seconda della annate - non poco, per un bianco, ma diretta conseguenza della qualità molto alta del terroir e quindi dei prodotti di CdP.


Voto verdeacido: 89/100.



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