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La scelta del quadro.

  • Immagine del redattore: G F
    G F
  • 14 ott
  • Tempo di lettura: 4 min

Uno dei motivi per cui quella mattina io e lei ci trovammo a casa del pittore era, in effetti, un quadro, per la precisione un pastello, che aveva catturato la mia attenzione sul catalogo online dell’atelier del pittore. Per varie ragioni, l’atelier era chiuso nei giorni della nostra visita e fummo invitati appunto allo studio-casa dove - ça va sans dire - la scelta era infinitamente superiore. Abbandonai la mia scelta iniziale per l’acquisto già dopo qualche minuto, una volta nel retrobottega. Artista di fama internazionale, conosciuto prevalentemente ma non esclusivamente per i suoi acquerelli, con i quali da oltre cinquant’anni racconta Venezia, i suoi scorci anche meno turistici, i suoi abitanti ed occasionalmente i personaggi famosi che ivi transitano, il pittore nasconde quasi accuratamente nei suoi cassetti polverosi una quantità di arte tanto vasta quanto eterogenea. Scegliere non fu facilissimo, soprattutto perché il pittore decise di non considerare chi aveva davanti - due giovani stanchi ed un po’ assonati, senza chiare promesse d’acquisto fatte prima dell’arrivo - e di mostrarci tutto il suo arsenale produttivo e, soprattutto, di ricordi. Da almeno vent’anni, dopo aver letto per la prima volta L’Ombra del Vento di Carlos Ruiz Zafon, scelgo libri, musica o arte in generale in base al sentimento, anche alla banale apparenza - a volte non necessariamente straordinaria - che mi ispira ciò che ho davanti. Questo mi ha quasi sempre portato a piacevoli sorprese e su sentieri che mai avrei scelto di percorrere scientemente. Quindi quella mattina andai in difficoltà quando oltre al pittore conobbi lo scenografo dal gusto moderno, l’arguto disegnatore a matita, un maestro classico nella pittura ad olio, un prolifico utilizzatore del pastello, adoperato il giusto, con tocchi sapienti emotivi che mi hanno portato alla mente - potere della sinestesia - i riff di John Frusciante nei suoi album solisti; conobbi l’appassionato di anatomia con i suoi studi risalenti alla gioventù, ma soprattutto il fine e ricercato litografista: delle opere magistralmente incorniciate, appese nella stanza da letto degli ospiti ed illuminate dalla luce proveniente da una bow window strappata alla Britannia ed inchiodata in laguna, dal gusto a mezz’aria tra l’onirico, l’alchemico e quasi il morboso che caratterizza opere di provenienza per lo più fiamminghe. Era una serie limitata, anzi unica, prodotta quasi per gioco a Bologna, una sessantina di anni prima: una roba senza prezzo, più che per l’unicità dei pezzi, per il peso emotivo e dei ricordi che sembrarono evocare nel pittore che, ventenne arrivato in Italia alla scoperta e all’arrembaggio, senza parlare una parola della nostra lingua, aveva deciso di produrre una serie limitata di litografie criptiche e meravigliosamente belle. E il pensiero va ai ventenni d’oggi che - ahi serva Italia - senza offesa, di queste idee non ne hanno, né hanno la fame che il pittore, ma anche io e lei potevamo avere, ai tempi nostri ed ognuno a modo suo, a vent’anni. Se anche fossero state in vendita, non lo erano, non avrei di certo potuto permettermele; ma se fosse stato possibile, avrei portato a casa con me quel pezzo d’anima del pittore. Ad essere onesto, però - qui il consenso del pittore fu pieno - un po’ di anima quel giorno me la sono presa. Prima di arrivare a scegliere il quadro, un pastello che era stato appeso lì davanti tutto il tempo e che poi apparve come in un’epifania, mi persi per lunghissimi minuti tra gli studi anatomici del pittore, risalenti a qualche anno dopo le litografie, frutto di corsi seguiti a Merano nei primi anni della permanenza italica. Avvolti in carta crespa color verde acido, innumerevoli studi anatomici - un tronco, una mano, un cranio - dalle innegabili suggestioni leonardesche, il tratto sanguigno ed arruffato, vivo nonostante il soggetto scheletrico, testimoniavano gli inizi, le esplorazioni, quel fascino per il macabro un po’ tipico negli inglesi e che avevo ritrovato nel quadro all’ingresso. Nello studio del torso, dove la colonna vertebrale appare ruotare spiraliforme su se stessa nonostante l’immobilità dell’immagine bidimensionale, ho riconosciuto le torsioni delle schiene voluttuose delle tante modelle che hanno donato tempo e terga per essere immortalate sulla spaventosa quantità di raffigurazioni - pastelli, acquerelli, olii - che affollano tutt’ora lo studio ed il retrobottega. Umilmente il pittore mise in luce su questi studi, matita su carta, tutti i suoi errori da ragazzo alle prime armi, ricordando aneddoti di scontri con professori che all’Accademia, dall’altro lato del canale e decenni prima, dall’alto delle loro cattedre cercavano di instradare il giovanotto inglese verso un percorso più classico, più canonico, meno spinto verso la ricerca, quasi a voler negare l’espressione di quel carattere che è comunque - meno male - uscito fuori e ci ha regalato una figura peculiare nel mondo dell’arte. Inutile dire che un paio di quegli studi me li sono portati a casa, praticamente regalati. Alzata la testa dal tavolaccio dove disegni, pastelli ed altro si affollavano, rivolsi lo sguardo verso destra: Cappuccino rientrava placidamente nel retrobottega, dopo un incursione nello studio; sopra di lui, appeso al muro sopra ad una scrivania ricolma di amenità di ogni genere, c’era Lui: sfondo grigio, figura di donna di spalle, seminuda, entrambi i gomiti piegati in avanti ad angolo retto, un cappello in testa, il fondoschiena in evidenza, bello, pieno - anche qui ritorna la similitudine con il famoso regista veneziano esperto della materia - tocchi di colore che danno vita, forma e dinamismo, oltre ad una incredibile carica emotiva all’insieme. Anche lei nello stesso momento stava guardando la stessa cosa e ci bastò uno sguardo d’intesa per capire che decisione avremmo preso. Pensai, in quel momento, che se avessi avuto le capacità artistiche del pittore, o giù di lì, avrei fatto per lei qualcosa di simile. Considerando il gusto e l’estetica del pittore, lei sarebbe in effetti e a tutto diritto candidabile a modella: le forme generose, quasi disegnate al compasso, che assolutamente non eccedono i canoni di quella che classicamente riteniamo bellezza, la pelle d’un colorito che, a seconda della stagione, va dal cipria all’oro, lo sguardo che può voler dire tutto e niente, a seconda del grado di apertura degli occhi, dell’angolo impresso ai lati della bocca; ma soprattutto l’eleganza del portamento e anche del resto, in parte innato, in parte instillato da anni di danza e disciplina. E a pensarci, nell’armadio c’è un cappello simile a quello della modella nel nostro quadro.

Non saprò mai pennellare su tela tutto ciò; allo stesso tempo, un po’, con le parole almeno me la cavo.

“Prendiamo quello” - dissi al pittore, indicando il pastello accanto alla porta.


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